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Siamo più iperconnessi dopo il lockdown? L’intervista alla psicologa Montanaro

today6 Giugno 2020 30

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Il lockdown sembra essere finalmente terminato ma siamo davvero tornati liberi o meglio, lo siamo mai stati? Il periodo di quarantena ci ha resi connessi e legati ad internet per la maggior parte della nostra giornata. Avevamo più tempo libero, non potevamo vedere gli amici e i parenti e i social network sono stati l’unico modo per essere vicini anche se fisicamente lontani. Ma non solo, c’è stato lo smart-working e la didattica a distanza e dovevamo rimanere costantemente informati sugli ultimi sviluppi del Covid19. Tuttavia la maggior parte di noi trascorreva molte ore del giorno sui social o navigando su internet anche prima della pandemia e, cosa ancora più grave, molti bambini e adolescenti vivono su internet piuttosto che giocare liberamente per strada o incontrare gli amici personalmente.

Come facciamo dunque a tornare alla “normalità” non intesa come la routine che avevamo anche prima del Covid19, ad una normalità che ci renda un po’ più umani e un po’ meno internauti? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Alice Montanaro, psicologa, laureata in scienze cognitive presso l’Università La Sapienza di Roma, perfezionatasi a Glasgow (Scozia) dove ha effettuato ricerca sui fattori psicobiologici che predispongono allo sviluppo dei disturbi psichiatrici. Tornata in Italia, si è occupata di Neuroscienze Psichiatriche, Riabilitazione Neuromotoria, Psicopatologia dello Sviluppo e Disabilità Intellettiva.

La dottoressa Alice Montanaro,psicologa

La quarantena forzata dovuta alla pandemia di Coronavirus è terminata ma ci ha resi iper-connessi. I genitori hanno lavorato per giorni in modalità “smartworking” e i bambini e ragazzi hanno dovuto seguire le lezioni per la scuola o per l’università sulle piattaforme on-line. Ma non solo. Tutti, adulti e bambini, hanno utilizzato molto più frequentemente internet, per vedere serie tv o semplicemente per restare in contatto con i propri amici e familiari. Adesso come si fa a tornare alla vita “normale”?

Lo smartworking in questo periodo di distanziamento ed isolamento ci ha permesso di continuare a lavorare e studiare anche a distanza. Nasce come una modalità di lavoro flessibile che si basa sul raggiungimento di obiettivi piuttosto che sul tempo di lavoro in sé. In realtà, se da una parte ci è sembrata una rivoluzione culturale, dall’altra è divenuta una gabbia invisibile da cui non è così semplice uscire. Questo perché di primo acchito ci sembra di “poter lavorare mentre facciamo altro”, mentre solo a posteriori realizziamo che così facendo, paradossalmente lavoriamo sempre. Un modo per tornare alla quotidianità di un tempo potrebbe quindi essere quello di imporsi degli orari anche a distanza e di disconnettersi quando necessario. Per il resto, in effetti internet e Netflix ci hanno fatto molta compagnia in questi mesi di buio. Per chi ne ha sviluppato una dipendenza, si potrebbe pensare ad una graduale e crescente riduzione del tempo dedicato alla tecnologia, ponendosi piccoli obiettivi settimanali. Questo vale sia per gli adulti che per i più piccoli che dovranno essere supportati e monitorati a casa”.

In realtà però le nuove generazioni erano iper-connesse anche prima della pandemia. Spesso la vita si svolge sui social e anche i bambini sono totalmente immersi nel mondo di internet. Quali sono le alternative e le attività che si possono svolgere in casa per cercare di tenere i bambini e gli adolescenti il meno possibile legati ad internet e al mondo dei social?

Quello della iper-connessione è un problema non di poco conto. Sicuramente la tecnologia ha reso più semplici molte delle attività quotidiane e molti dei devices creati hanno in effetti impieghi medici molto importanti. Basti pensare alle app cliniche come quelle di supporto alla lettura, alla teleriabilitazione o all’impiego di Google Maps per chi ha difficoltà topografiche. D’altro canto i bambini sono così impegnati a giocare su Tik-Tok da non avere più tempo per il giroletto ed i ragazzi sono così presi dal “like tattico” su Instagram da non riuscire più a corteggiarsi guardandosi negli occhi. Tra l’altro il nostro cervello registra tutto e si modifica in base all’ambiente che viviamo ed a come lo stimoliamo. In effetti gli studi di risonanza magnetica mostrano come il tempo d’uso della tecnologia sia inversamente proporzionale alla connettività funzionale tra distretti cerebrali importantissimi (Horovitz-Kraus, 2018). Più specificatamente, l’eccessivo uso della tecnologia sembra spegnere il nostro cervello, esattamente come fa la dipendenza da sostanze!!! Bambini ed adolescenti hanno bisogno di conoscenza e possibilità. A scuola dovrebbe essere fornito un servizio psicoeducativo che mostri gli effetti dell’uso smodato della tecnologia. Inoltre dovrebbero essere proposte attività extrascolastiche che siano davvero interessanti per i ragazzi affinché si sentano motivati a disconnettersi per ritrovare il piacere di guardarsi negli occhi. Iniziamo col non lasciare i nostri bambini al cellulare “per tenerli impegnati”! Al ristorante, giochiamo con loro, parliamo con loro, piuttosto che trovar un diversivo per la loro mente. E con gli adolescenti impariamo a comunicare. Ascoltiamo le loro richieste. Cerchiamo soluzioni. I giovani comunicano bene, se impariamo ad adattarci al loro registro linguistico”.

Arriviamo poi al triste fenomeno del cyberbullismo. Basta creare un semplice gruppo o condividere una foto per ferire profondamente qualcuno. E’ necessario educare i giovani e i meno giovani al corretto utilizzo dei social? In che modo? Si potrebbero creare dei corsi nelle scuole?

Il cyberbullismo è un problema importante. A volte crediamo di poter fare qualsiasi cosa attraverso uno schermo, soprattutto perché chi è dall’altra parte non ha la possibilità di difendersi. E’ un po’ come chiedere di uscire alla donna che ci piace tramite Messenger, solo che in questo caso invece di frasi d’amore si inviano offese. Il mondo sta cambiando e continuare ad affermare: “si stava meglio prima..”, non risolverà certo le cose. Viviamo nell’epoca della comunicazione rapida e senza filtri, di photoshop, delle videoconferenze e dei piccoli robot che ci augurano buonanotte. E’ indispensabile educare i ragazzi ad utilizzare la tecnologia in modo costruttivo, anche perché il social network in sé non è buono o cattivo, dipende da come lo utilizziamo. L’inserimento nella scuola di uno psicologo potrebbe sicuramente favorire lo sviluppo cognitivo, sociale ed affettivo degli studenti. Prima di tutto si avrebbe la possibilità di ricevere supporto. Inoltre, gli insegnanti non sono adeguatamente formati per agire sui processi psicologici dei loro alunni. E’ lo psicologo l’esperto in grado di educare, prevenire e trattare. A tal proposito, a maggior ragione nei casi più gravi e con i più piccoli, l’impiego del parent training in associazione ad un intervento cognitivo-comportamentale ha una efficacia scientificamente dimostrata. Un training sull’assertività inoltre, potrebbe insegnare ai ragazzi a comunicare ed agire le proprie emozioni in modo più efficace”.

A proposito di scuola, in questo periodo di quarantena è stata utilizzata la ormai famosa DAD (didattica a distanza) ed in effetti era l’unico modo per poter permettere ai ragazzi di non perdere le lezioni. Ma la scuola non è fatta solo di lezioni è fatta anche di rapporti umani che formano i bambini ed i ragazzi. Cosa hanno perso non andando a scuola in questi due mesi?

La scuola è il primo terreno fertile per lo sviluppo socio-affettivo dei ragazzi. Gli studenti hanno la possibilità di sperimentare la loro identità lontani dalle mura domestiche, così come imparano a vivere il gruppo, le esclusioni, i successi e gli insuccessi. La DAD è stata sicuramente fondamentale per non fermare il cammino accademico durante la pandemia, ma non potrà mai sostituirsi al contatto umano e questo per una serie di ragioni, come ad esempio: 1) soprattutto nei primissimi anni di scuola, gli insegnanti sono spesso i primi ad identificare difficoltà dell’apprendimento o del comportamento che spesso celano disturbi più importanti come dislessia, ADHD, ma anche sindromi dello spettro autistico ecc. La DAD ovviamente impedisce l’osservazione sul campo col rischio di ritardare l’invio ad un esperto e quindi diagnosi ed intervento! 2) a scuola si impara ad essere cooperativi, a chiedere scusa, ad essere empatici e generosi. Bisogna urgentemente tornare tra i banchi di scuola perché la sperimentazione del gruppo è qualcosa che non possiamo togliere ai ragazzi. L’uomo è da sempre un animale sociale e la scuola aiuta ad esserlo nel modo corretto”.

Il mio pensiero va soprattutto a tutti gli studenti che quest’ anno dovranno affrontare la maturità, per esempio, io ricordo che la famosa “terza prova” era uno degli esami più temuti ma fu anche l’ultimo compito in classe svolto con tutti i miei amici di scuola. Quest’ anno gli esami si svolgeranno in modalità diverse ma non solo gli studenti che dovranno fare la maturità, anche i bambini che sono in quinta elementare o in terza media non avranno più la possibilità di salutare o di vivere gli ultimi giorni di scuola con i compagni e gli insegnati che, probabilmente, non rivedranno più il prossimo anno. Come potranno affrontare queste situazioni nel modo meno traumatico possibile? I genitori che ruolo avranno in questo passaggio chiave?

Alcuni Comuni stanno prendendo provvedimenti a riguardo, ad esempio permettendo, con le dovute precauzioni, agli studenti degli ultimi anni di incontrarsi un’ultima volta dal vivo. Sono molto a favore di questa iniziativa, perché la scuola non è solo competenza, ma anche relazione. I bambini, prima di essere alunni bravi in scienze o in matematica, sono persone che hanno il diritto ed il dovere di imparare a vivere in società. Insegnanti e genitori dovrebbero collaborare per favorire questo processo, ad esempio organizzando incontri in piccoli gruppi. Ricordiamoci che anche i bambini più piccoli sono in grado di comprendere e comunicare. E’ un falso mito che non siano in grado di capire concetti difficili (come il Covid ad esempio). Diciamo loro, anche mediante l’uso di immagini o di storie, che forse adesso non possiamo organizzare grandi feste ed incontri, ma che in realtà il nostro unico limite è la fantasia e che anche se adesso ci sono cose che non possiamo realizzare, possiamo sempre immaginarci all’azione (es. cosa faresti se fossi ad una festa con gli altri? E se andassi in gita? Ecc.). In questo modo li aiuteremo anche a stimolare le loro capacità astrattive, oltre che a giocare con l’impossibile! Mancherà a tutti la famosa “Notte prima degli Esami” del Venditti, ma forse non è necessario essere in tanti, possiamo ripartire dagli affetti sinceri, dai pochi ma buoni, dai “quattro ragazzi con la chitarra ed un pianoforte sulla spalla”. Ci sarà tempo per i party rumorosi con gli sconosciuti. Oggi ripartiamo dalle persone che portiamo dentro. Ripartiamo da noi.”

Enrica Benedetti

Scritto da: Redazione Radio Incontro

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